Cerca Mappa Calendario Home
Il boom del rugby

Secondo il Corriere della Sera il rugby in Italia è in pieno boom. In pochi mesi record di iscritti, soprattutto giovanissimi, ai club della palla ovale. Effetto mondiali, effetto nazionale, nausea da calcio o fenomeno epocale?
28/11/2007


ROMA – A volte basta un prato. Prendete Corviale. Bistrattata periferia di Roma. Eco-mostri e campi verdi, in un mix inusuale e sconcertante. E un campo da rugby, tra abnormi palazzoni di cemento armato. Dopo vent’anni di battaglie, arrabbiature e delusioni, Salvatore Gallo ha ottenuto quel campo, verde di prato e con tanto di illuminazione artificiale e tribune, per la sua squadra, il Villa Pamphili Rugby.

RIQUALIFICARE CON LO SPORT – Da quando il Comune, anche per riqualificare il quartiere, ha affidato le chiavi dell’impianto alla società (era il 25 giugno scorso, con cerimonia alla presenza del sindaco Veltroni e di Andrea Lo Cicero, pilone azzurro e beniamino degli appassionati) nel quartiere si respira un’aria diversa. Le iscrizioni al club, in poche settimane, sono esplose, con un boom che ha dell’incredibile tra i giovanissimi. Ecco i numeri: nelle giovanili, dall’Under 7 all’Under 13, i tesserati sono passati da 40 a 300 (!); per la prima volta nella storia del club sono state organizzate le squadre Under 15, 17e 19; in prima squadra, che milita in serie C, i tesserati sono triplicati (e il Villa Pamphili, in classifica, oggi lotta con le prime).

EFFETTO CAPITALE – Un caso? Per niente. La moltiplicazione dei rugbisti in erba – facilitata, nel caso del Villa Pamphili, dal campo da gestire in proprio – è una costante del movimento: lo stesso boom si registra anche all’AlmavivA Capitolina, in zona Tor di Quinto, alla Rugby Roma, alla Lazio. Per non dire della zona dei Castelli, tradizionale zona di reclutamento per il rugby. «E’ l’effetto della popolarità che ha raggiunto questo sport - spiega Alessandro Di Leo, dirigente-giocatore del Villa Pamphili - ma anche della crisi del calcio, che non insegna più niente. Invece sul campo da rugby i valori ci sono ancora. Qui si insegna lo spirito di squadra e il rispetto dell’avversario». E capita anche che giochino uno affianco all’altro, i figli del «Serpentone» (l'obbrobrio di cemento di cui sopra) e quelli delle zone residenziali del quartiere. Borghesia e popolino, come ai tempi del decollo di questo gioco, nella Gran Bretagna dell’Ottocento, post rivoluzione industriale.

ISCRIZIONI A PIOGGIA - E a Milano? Il discorso non cambia: iscrizioni a pioggia. I tesserati sono passati da 5779 nel 2004 a quasi 10mila. «A settembre sono arrivati tra i 50 e i 60 nuovi tesserati, tra mini rugby e giovanili – spiega Stefano Curioni della Asr Milano, storica società della zona Lambrate – Rispetto alla scorsa stagione c’è il 50% di ragazzi in più». Gli Under 7 sono passati da 10 a 20; gli Under 9 da 15 a 30; nell’Under 11 siamo stati costretti ad attrezzare tre quadre. «Il risultato – spiega Curioni – è che noi Old, ovvero noi rugbisti di 40 e più anni, siamo stati costretti a cercarci un altro campo per allenarci». Da notare che, malgrado tutta questa gioventù che preme ai cancelli, ora che giocare a rugby è finalmente diventato di moda, gli anziani dell’Asr non ne vogliono sapere di appendere gli scarpini al chiodo. E la sera sono più di 45 a faticare sul campo. E c’è altro: «Il buon momento del rugby – dice Curioni, che è anche professore associato all’Università Bocconi - lo misuriamo anche dall’attenzione degli sponsor. Quando sentono parlare di rugby ci ascoltano. Un po’ di tempo fa non perdevano tempo». Tutti segnali eloquenti, ancora di più perché Roma e Milano non sono i serbatoi naturali per il rugby, molto più popolare, in Italia, in Veneto e Abruzzo.

LA PROFEZIA – Insomma, a giudicare dai numeri, non sembra lontano quel giorno profetizzato da John Kirwan, ex All blacks e fino a due anni fa allenatore della nazionale azzurra: «La più bella vittoria l'avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacità di soffrire. Questo è uno sport che allena alla vita». La federazione, alla fine della scorsa stagione, indicò già un primo grande balzo: da 47 mila tesserati in pochi mesi si era passati a 62 mila. Un incremento di oltre il 30%. E il bello deve ancora venire, visto che quei dati sono relativi al giugno scorso, prima dell’ondata di settembre-ottobre (non a caso nel periodo in cui in Francia ci si sfidava per la Coppa del Mondo).

IL FANGO E LA GLORIA – Ma di chi è il merito dell’esplosione del rugby? Curioni è convinto che gran parte del sostegno arrivi della nazionale, che ha fatto a volte molto bene (Sei Nazioni), altre meno (Mondiali), ma che è andata in tv con regolarità, mostrando la bellezza del gioco. E merito lo hanno anche i giocatori più forti, diventati testimonial della pubblicità e personaggi tra i giovanissimi. E la crisi del calcio? «Beh, sì. Dipenderà anche da quello. La cosa che notiamo è che molte famiglie preferiscono mandare i figli a giocare a rugby piuttosto che a calcio». Meglio il fango e qualche livido (da mostrare con orgoglio ai compagni di scuola, tra l’altro) della sconfortante aggressività che ruota attorno al pallone. Quello rotondo.

Paolo Ligammari
(© Corriere della Sera)


  © Copyright 2006 | Credits