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Grazie rugby!
22/04/2008

Forse non sono l’unico, ma so cosa hanno provato i padri con un figlio di otto anni, un po’ tanto in carne, quando si sono presentati ad una società sportiva per avviarlo e si sono sentiti dire: “ Mi spiace ma con questa corporatura non è adatto alla pratica di questo sport; provi con altre discipline.”

Mestamente ritornavo sui miei passi sperando di trovare una soluzione, tutto inutile. Ormai mi ero messo il cuore in pace, giocavo io con lui a calcio, correvo e mi diventava difficile farlo vincere, andavamo in bicicletta, ma erano più le volte che ci fermavamo che quelle che pedalavamo.
Un giorno un carissimo amico mi invitò ad assistere ad una partita di rugby, portai anche mio figlio.
In mezzo a tutta quella gente che cantava, urlava e applaudiva, mi sono sentito come un pesce fuori dall’acqua.
Onestamente non capivo nulla, c’erano quindici uomini da una parte e dall’altra, che correvano dietro ad una palla ovale, se la passavano con le mani all’indietro, si ammucchiavano per rubarsela, quando usciva dal rettangolo, uno la lanciava con le mani e le due file dei contendenti alzavano un’atleta in alto per poterla rubare. Guardavo il mio amico e sorridevo e annuivo dicendo “che bravi”, ma proprio non capivo nulla. Che strano sport, questo rugby!

Finita la partita mi sono sentito dire “ ora c’è il terzo tempo “: mi sono fermato in attesa del rientro dei giocatori. Che strano, il terzo tempo è una festa. Sia le squadre che le due tifoserie, si ritrovarono vicino ai banchi della birra o delle salamelle e, mangiando e bevendo, discutevano della partita. Che sogno per uno che ha sempre vissuto di calcio.
Nel ritornare a casa, il piccolo ( un eufemismo, visto il fisico…) mi disse: “Papi mi hanno detto che ho la struttura di un pilone“. Onestamente quella frase mi colpì, ma poi non ci feci tanto caso.
Passarono le settimane. Un giorno mio figlio mi disse che voleva provare a cimentarsi nel rugby; subito mi misi alla ricerca e, grazie all’interessamento di questo mio amico, trovai la Rugby Bergamo.
Feci una telefonata e mi invitarono a portarlo per un periodo di prova. Giunti a destinazione provai un po’ di sgomento, erano solamente in quattro! Mentre parlavo con un addetto, mio figlio corse in campo per fare l’allenamento. Finito tutto, ritornammo verso casa, io ero un po’ scettico e non sapevo cosa fare né cosa dire, ma a sbloccare tutto fu mio figlio: “Papi che bello “

Che gioia accompagnarlo e vederlo negli allenamenti saltare, correre, tuffarsi per placare un compagno, spingere per conquistare qualche metro, tutto era bello per lui sia col sole che con l’acqua e ritornava a casa stanco, ma felice di fare questo sport.

Tante belle sorprese mi ha poi regalato il Rugby, ma la più significativa è stata questa!
Dopo qualche mese andammo ad un torneo con quattro giocatori ma, nella mia mente mi ronzava una semplice domanda, come facciamo a giocare con gli altri che non abbiamo una squadra? La risposta mi venne subito data sul campo. Arrivati al tavolo degli organizzatori, spiegata la nostra situazione, subito si presentarono altri allenatori e inserirono i nostri nelle loro squadre.
Cose di un altro mondo, qui tutti devono giocare, non importa che siano di una o di un’altra squadra, è la maglia che li unisce.
Stessa cosa successe quando andammo ad un torneo in Francia, a Chambery, uno dei più importanti, sette campi da gioco, squadre di tutte le nazioni, una folla di ragazzini accompagnati dai genitori, un’esperienza unica.
Anche qui i nostri si accasarono presso altre squadre. Il mio con una francese, oddio come si capiranno?! Niente paura un po’ di gesti qualche cenno con la testa e via a giocare dopo il fischio dell’arbitro. Ero al settimo cielo, mio figlio che ogni tanto mi si avvicinava per chiedermi cosa volesse dire una certa parola, una spiegazione veloce e via a rigiocare. Arrivarono in finale, noi tutti a vederli, io non stavo più nella pelle. Incitamenti in francese ed in italiano. Peccato che persero per una meta, ma in noi tutti una soddisfazione, un Italiano in finale.
Guardo mio figlio, piangeva, gli chiesi perché e mi rispose: “Abbiamo perso “.
Da allora sono passati sei anni, molto è cambiato nella società, sono arrivati nuovi allenatori, i genitori si sono moltiplicati e grazie a loro e alla presidenza, oggi abbiamo una banda di 140 ragazzini suddivisi nelle squadre della Under 7, 9, 11, 13 e altri in quelle maggiori.
Nulla è cambiato nello spirito del rugby, ancora oggi, nei tornei della propaganda, diamo atleti ad altre squadre, ci sono ragazzini che piangono e genitori felici che parlano mangiando il solito panino con la salamella e l’immancabile bicchiere di birra.

GRAZIE RUGBY: oggi ho un ragazzo di 14 anni con un fisico atletico e non più complessato.




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